Furore è un piccolo gioiello arroccato sulla Costiera Amalfitana, che conta poco meno di 800 abitanti. Per la conformazione del paese nascosto tra le montagne, il borgo di Furore è definito “il paese che non c’è”.
Dall’aspetto rigido della roccia e quello fluido del mare, Furore è un borgo diviso in due: da un lato la sua marina, ovvero il Fiordo, dall’altro il paese, con le sue case sparse lungo il costone, praticamente invisibili agli occhi di chi viaggia lungo l’amalfitana.
Facente parte de i Borghi più belli d’Italia, il centro del paese è diviso in tre contrade: Contrada della Gatta, Contrada della Cicala e Contrada del Ciuccio.
A Furore è possibile ammirare la Chiesa di San Giacomo, ovvero la più antica del Fiordo di Furore, la Chiesa di San Michele e la Chiesa di Sant’Elia.
Il Fiordo è una spaccatura dovuta ad un torrente quasi sempre secco, lo Schiato, che scende a picco dal bordo dell’altopiano di Agerola. Esso è inoltre scavalcato dalla strada statale mediante un ponte sospeso alto 30 m, dal quale, ogni estate, si svolge una tappa del Campionato Mondiale di Tuffi dalle Grandi Altezze.
All'interno del fiordo si trovano lo Stenditoio e la Calcara, due edifici utilizzati per le produzioni locali. Lo Stenditoio era usato per asciugare i fogli di carta estratti dalle fibre di stoffa. La Calcara invece era adibita alla lavorazione delle pietre per l'edilizia locale.
Fondato dai Romani, il borgo di Furore è stato, per la sua particolare conformazione fisico-geografica, una roccaforte inattaccabile anche al tempo delle incursioni saracene. Emerse dal completo anonimato con la compilazione del catasto carolino del 1752 che restituisce l’immagine di una piccola comunità costiera sparsa sul territorio, priva di terreni coltivabili e scarsamente abitata. I suoi abitanti erano dediti alla pastorizia ed all’artigianato.
Alcune delle famiglie più importanti hanno dato il nome a luoghi e strade: Li Summonti. Le Porpore, Li Cuomi, Li Candidi.
I Summonti si trasferirono a Napoli verso il 1400. Ma lasciarono in Furore la loro impronta di uomini probi, costituendo una cospicua donazione di ducati con le cui entrate annue doveva maritarsi una “zitella povera ed onesta” di Furore.
I Furoresi erano, inoltre, tenuti a recare alla dimora napoletana dei Summonti, in segno di gratitudine e di rispetto “tre rotola di ragoste, bone vive et apte a riceversi”. Fu un casale della Regia città di Amalfi.
Il suo nome, verosimilmente, gli doveva derivare dal fiordo della sua Marina, al cui interno esistevano opifici destinati alla produzione della carta ed alla molitura del grano. Queste attività erano alimentate dalle acque del ruscello Schiatro che scendeva dai Monti Lattari.