Maratea è l'unico borgo della Basilicata ad affacciarsi sul Mar Tirreno. Per i suoi pittoreschi paesaggi costieri e montani, e per le peculiarità artistiche e storiche, Maratea è conosciuta anche come "la Perla del Tirreno" e "la città delle 44 chiese" per le sue numerose chiese, cappelle e monasteri, costruite in epoche e stili diversi. La sua costa è variegata di insenature e grotte, scogli e secche. Numerose le spiagge costiere, di fronte ad una delle quali emerge l'Isola di Santo Janni. Degni di attenzione sono i fondali e le 131 grotte marine e terrestri, delle quali alcune hanno restituito fossili e reperti preistorici. Su tutte spicca la Grotta di Marina con stalattiti e stalagmiti. Il nome è di chiara derivazione greca, dalla parola greca marathus ("finocchio selvatico") e quindi col significato di "terra del finocchio selvatico".
Nell'epoca eneolitica il promontorio detto Capo la Timpa, posto a ridosso dell'odierno porto turistico, diventa uno scalo di scambio. A partire dal XV-XIV secolo a.C. ospita un insediamento indigeno entro capanne, costruite con un pavimento a battuto steso con ciottoli decorativi e focolare centrale. Questo villaggio, la cui conformazione rientra nei parametri della cosiddetta "cultura appenninica", sopravvive grazie alle relazioni commerciali instauratesi in seguito alle prime navigazione micenee in Italia. All'avvento della colonizzazione greca, la vita del villaggio su Capo la Timpa si interrompe; per riprendere nel VI secolo a.C. in seguito alla cosiddetta "colonizzazione indigena della costa" operata da popoli di cultura enotria. La vocazione commerciale del villaggio spinge i traffici dalle colonie magno-greche alla Siritide, fino alla Grecia stessa. Dopo la conquista romana della Lucania, avvenuta tra il III e il II secolo a.C., il promontorio Capo la Timpa viene abbandonato per sempre. Il territorio ospita poi altri piccoli nuclei, a cui si affiancano le grandi ville marittime patrizie della classe agiata romana. È infatti stata ritrovata una villa romana, con annessa pescheria, nella località Secca di Castrocucco, la cui cronologia si estende dal I secolo a.C. al IV secolo d.C.; a cui si accompagna una distante necropoli usata fino all'inizio del Medioevo. Le invasioni barbariche successive alla caduta dell'Impero romano d'Occidente e le prime incursioni saracene spingono la popolazione presente sul territorio a rifugiarsi sulla cima del monte San Biagio, dove nasce l'antica Marathìa (nome che fa la prima apparizione in documento del 1079).
Questa cittadella, inespugnabile e al sicuro da ogni attacco, riceve le reliquie di San Biagio di Sebaste nell'anno 732, trasportate secondo la tradizione su una nave da parte di uomini armeni. Nell'850 Maratea entra a far parte del Gastaldato di Laino del Principato di Salerno, per poi passare, forse nel 1077, nei domini Normanni. Nel 1284 Maratea viene coinvolta nella guerra dei Vespri. Nel 1324 la parrocchia del Santuario di San Biagio è l'arcipretura del territorio. Ma quello sulla cima del monte San Biagio non è più l'unico centro del territorio: durante i secoli se n'è sviluppato un altro, alle pendici dello stesso che lo rende invisibile dal mare e al sicuro dagli attacchi Saraceni. Questa nuova Maratea viene soprannominata con il nome di Borgo, per distinguerla dall'antica che, poiché fortificata, sarà detta Castello. All'inizio del XV secolo Maratea, che secondo la tradizione non fu mai sottoposta al potere di un feudatario, fa parte delle terre alle dipendenze dirette della corona. Il 21 maggio 1626 il Borgo viene attaccato da una banda di centosessanta banditi, che mettono in assedio le abitazioni delle famiglie più facoltose di Maratea. Il XVIII secolo è un'epoca molto fortunata per Maratea. Nel 1734 viene aperto il primo ospedale civile, a opera del benefattore Giovanni De Lieto. Nel 1799 Maratea viene coinvolta nei moti che portarono alla costituzione della Repubblica Napoletana. Nell'agosto del 1806 l'esercito francese inizia l'invasione del Regno di Napoli. Dopo l'insurrezione calabrese, la vicina cittadina di Lauria, ribellatasi ai francesi, viene messa a ferro e a fuoco. I francesi, accettate le condizioni di Mandarini di non nuocere alla popolazione, demoliscono parte delle mura e i torrioni del Castello, per evitare nuove insurrezioni. Questo evento accelera lo spopolamento dell'antico nucleo di Maratea, la cui municipalità viene soppressa nel 1808, per essere accorpata a quella di Maratea inferiore, dopo quasi trecento anni di doppia municipalità sul territorio. Nel 1860 anche a Maratea si costituisce un comitato insurrezionale per l'azione lucana per l'unità d'Italia; organizzato, tra gli altri, dal cittadino Raffaele Ginnari. Al contrario del resto della regione, Maratea non viene mai coinvolta nel fenomeno del brigantaggio. All'inizio del XX secolo anche i cittadini di Maratea sono costretti a sostenersi grazie all'emigrazione. Principali mete per i marateoti sono il Venezuela, la Colombia, il Brasile e gli Stati Uniti d'America. Annoverata come «stazione balneare» già prima delle guerre mondiali, le bellezze di Maratea acquistano grande visibilità su campo nazionale dopo il 1953, quando l'industriale Stefano Rivetti di Val Cervo installa uno stabilimento tessile e una azienda agricola.
I due nuclei di Maratea si svilupparono in tempi e modi diversi. La città superiore, posta sulla cima del monte San Biagio, è per immemore tradizione la più antica, e i suoi abitanti fondarono quella inferiore sul versante settentrionale dello stesso monte durante l'età medioevale, ovvero il Castello. Le abitazioni dell'antica Maratea presentavano caratteristiche di «miniaturizzazione», completamente sconosciute nel resto del territorio: ogni vano era circa 1/4 più piccolo del normale, per economizzare lo spazio e ridurre al minimo la dispersione del calore, garantito da un forno per la panificazione di cui disponevano tutte le case. In ogni dimora trovava posto anche una cisterna per l'acqua, in quanto sulla cima del monte non vi sono sorgenti. Non mancavano comunque palazzi e residenze più grandi, riservate alle famiglie più agiate, e su tutte spicca Palazzo Ventapane, grandioso edificio di cui si scorge ancora la loggia esagonale. La viabilità all'interno era costituita da stradine, vicoli, angiporti e scalinate, e solo due porte permettevano l'accesso alla cittadina fortificata: Porta Santa Maria, posta alle mura meridionali, e Porta dei Carpini, posta su quelle settentrionali. Le difficili condizioni abitative del sito, esposto alle intemperie e alla caduta di fulmini, unite al pendolarismo dei contadini che coltivavano le terre della valle sottostante, furono i presupposti per la nascita della nuova Maratea.
Il borgo (più frequentemente indicato come il Paese) è l'attuale centro storico di Maratea. Si trova arroccato su un costone di roccia del monte san Biagio che lo rende invisibile dal mare, e quindi, in antichità, al sicuro dalle insidie dei pirati Saraceni. Questa posizione ha il grave svantaggio di isolare la cittadina dai raggi solari nel mese di dicembre e di gennaio, bloccati dalla cima della montagna soprastante. Nato come sobborgo dell'antica Maratea, questo è dal 1808 l'unico capoluogo comunale. Il Borgo presenta una struttura urbanistica diseguale e caotica, dovuta all'asperità del sito: i palazzi e le abitazioni più grandi, persino alcune chiese, sono formate con l'unione di piccole case e altre strutture. Oltre agli edifici sacri, tra cui figurano l'antica Chiesa di San Vito, la settecentesca Chiesa dell'Annunziata, la seicentesca Chiesa dell'Addolorata, la Chiesa dell'Immacolata, la Chiesa di Santa Maria Maggiore e la Chiesa di Sant'Antonio; le emergenze architettoniche principali sono gli antichi palazzi della nobiltà marateota: Palazzo De Lieto, che dal 1734 ospitò il primo ospedale di Maratea, Palazzo Calderano, Palazzo D'Orlando, Palazzo De Filippo, Palazzo Eredi Picone e Palazzo Gennari. La viabilità, chiusa in tortuosi ma pittoreschi vicoli, si apre in un lungo corso, detto la Piazza, alle cui estremità si trovano due colonne votive, ingrandito nel novecento con l'apertura di due piazzali: Piazza Biagio Vitolo e Piazza Gennaro Buraglia.