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I Monti Sibillini, un luogo incantato nelle Marche tra grotte magiche, fate e unicorni


Domenica 16 luglio 2017

In questo articolo scopriremo insieme la famosa catena montuosa umbro-marchigiana e ripercorreremo tutte le storie e le leggende del luogo, dalla Grotta Sibilla fino alla recente notizia dell’unicorno dei monti Sibillini

I Monti Sibillini, un luogo incantato nelle Marche tra grotte magiche, fate e unicorni

«là, sovra i gioghi dell'Appennin selvaggio,
fra l'erte rupi una caverna appar:
vegliano le sirene quel faraggio,
fremono i canti e fanno delirar.»

(Giulio Aristide Sartorio, Sibilla, 1922)

C’era una volta una grotta incantata in cui viveva una maga veggente che, con i suoi poteri di incantatrice, riusciva ad attirare i più impavidi cavalieri e ad imprigionarli nella sua dimora per lungo tempo, costringendoli alla dannazione dell’animo e al peccato. Insieme a lei vivevano le sue ancelle, esseri fatati che nelle notti di plenilunio scendevano fino a valle per danzare con i giovani del posto.

No, non è una favola (o almeno non solo questo), bensì una delle leggende che trova origine tra i monti Sibillini, il complesso montuoso situato lungo l’appenino umbro-marchigiano, ed in particolare nella Grotta della Sibilla, detta anche Grotta delle Fate, nei pressi della vetta del Monte Sibilla.

monti sbillini

Il nome di questo rilievo montuoso deriva dalla leggenda della Sibilla Appenninica, secondo la quale la grotta nascosta tra i monti dell’appennino umbro-marchigiano altro non era che il punto d’accesso al regno sotterraneo della regina Sibilla, un’antica sacerdotessa in grado di predire il futuro.

Questa figura ha origine nei culti primitivi delle antiche popolazioni italiche che si insediarono nel territorio umbro-piceno; e i suoi oracoli venivano pronunciati in luoghi impervi quali le montagne, nelle grotte e nelle cavità della Madre Terra. Secondo la versione originale della leggenda la Sibilla Appenninica era una fata buona, veggente e incantatrice, detentrice della conoscenza, conoscitrice dell’astronomia e della medicina, che elargiva responsi profetici con un linguaggio non sempre facile da interpretare.

All’interno della grotta la sapientissima sacerdotessa Sibilla era circondata dalle sue ancelle, chiamate anche le fate della Sibilla, giovani donne di bell’aspetto vestite con caste gonne da cui spuntavano zampe di capra, i cui calpestio ricordava il rumore degli zoccoli degli animali sulle pietraie dei monti.
Si narra che queste affascinanti creature si muovessero tra il lago di Pilato, dove si recavano per il pediluvio, ed i paesi di Foce, Montemonaco, Montegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo ed il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare, dove ancora oggi una rappresentazione detta “La discesa delle fate” custodisce e rievoca la memoria della presenza di queste creature.

lago pilato

Esse uscivano prevalentemente di notte, perché per poter appartenere al regno incantato della Sibilla, dovevano ritirarsi in montagna prima del sorgere delle luci dell'aurora. Le fate sibilline amavano danzare nelle notti di plenilunio ed erano solite appropriarsi segretamente dei cavalli dei residenti per raggiungere le piazze dei paesi vicini alla loro grotta per ballare con i giovani pastori. È a queste creature, infatti, che viene attribuita l’origine del ballo tipico della zona: il "saltarello".

Ad accorgersi del rapimento notturno degli equini sarebbe stato un contadino che, insospettito dal ritrovare al mattino le bestie sudate ed affaticate, nonostante la fresca temperatura del ricovero, si appostò per capire cosa succedesse durante la sua assenza e scoprì che erano proprio le fate a servirsi dei suoi animali.
Secondo la leggenda, dopo essersi attardate ad una di queste feste, le ancelle si sarebbero lanciate in una fuga talmente precipitosa da creare quella che oggi viene chiamata la Strada delle Fate, una faglia a 2000 metri sul monte Vettore.

Dal contatto tra fate e pastori, inoltre, deriva il mito dell'amore che le legava agli uomini, secondo il quale questi ultimi, una volta entrati in contatto con loro, sarebbero stati sottratti al loro mondo, abbandonando così la sorte di semplici mortali, ed investiti di una sorta di immortalità virtuale che li avrebbe lasciati in vita fino alla fine del mondo, così come succedeva alle fate, ma costretti a vivere nel sotterraneo regno della maga Sibilla.

I pastori però, non erano i soli a godere della compagnia delle fate della Sibilla, poiché esse talvolta si recavano a valle per insegnare alle giovani la filatura la tessitura delle lane.

Infine, un’altra leggenda, anche se meno accreditata è quella che vede la regina Sibilla e le sue fate come donne bellissime, ma che si trasformano ad ogni fine settimana in serpenti, che nella tradizione celtica è simbolo di fertilità e guarigione, per il fenomeno della muta della pelle di questi animali.

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la descrizione della Sibilla fatte in epoche successive, dove la sacerdotessa era dipinta come un essere perfido e demoniaco. Complice anche l’avvento del Cristianesimo, nel corso dei secoli, in particolare nel Medioevo e nel primo Rinascimento, moltissimi scrittori, poeti e letterati hanno trasfigurato completamente la sua benevola personalità per trasformarla in una donna diabolica, lasciva ed incantatrice di uomini.

Ne è un esempio il romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino dal titolo Il Guerrin Meschino. In questo racconto, ambientato nell'anno 824, un cavaliere si reca presso la Grotta della Sibilla, sui monti Sibillini, per conoscere l'identità dei suoi genitori, ma la Sibilla lo trattiene tentandolo a peccare e rinnegare Dio. Questa interpretazione infernale è progressivamente incupita nelle successive versioni del romanzo, stese nel periodo dell'inquisizione (come quella del 1785 pubblicata a Venezia), nelle quali la figura della Sibilla è addirittura sostituita da quella della Maga Alcina.

Numerosi filologi ritengono che la leggenda della Sibilla Appenninica abbia ispirato la leggenda tedesca del Tannhäuser, diffusasi in Germania a partire dalla fine del Trecento, la quale in effetti presenta innumerevoli analogie con la storia del Guerrin Meschino. Essa narra che il valoroso cavaliere Tannhäuser si reca a Monte Sibilla, chiamato Venusberg, (Monte di Venere), e, dopo essere stato per un anno tra le braccia di Frau Venus (la dea Venere, da cui il nome Frau Venusberg per la grotta), si reca dal Papa Urbano IV per avere l'assoluzione dai suoi peccati. Non la otterrà e ritornerà fra le braccia della sua tanto amata Venere. Il finale nella rielaborazione tedesca della leggenda s'inverte rispetto a quello del Guerrino e il Papa sarà condannato per l'eternità. L’eros trionfante nel finale di questa variante tedesca della leggenda della Sibilla Appenninica ispirò Wagner per il suo Tannhäuser.

Questi e altri racconti fecero acquisire alla Sibilla una fama tale che Agnese di Borgogna inviò Antoine de La Sale a visitare la sua grotta il 18 maggio 1420. Da questa visita nacque Il Paradiso della Regina Sibilla, il diario di viaggio nel quale riportò disegni particolareggiati e descrizioni della grotta.

paradiso della regina

La descrizione più recente, anche se non molto diversa da quella di de La Sale, è quella del Lippi-Boncambi risalente alla metà XX secolo. Lo studioso fu uno degli ultimi visitatori della grotta prima che l'ingresso crollasse definitivamente a seguito di un utilizzo scellerato di esplosivi che, invece di contribuire ad aprirla ulteriormente, ne causò la chiusura forse definitiva.

Sempre secondo la tradizione locale, fu la Sibilla a provocare un intenso evento tellurico nel paese di Colfiorito, antico nome di Pretare, che distrusse il sito riducendolo ad un mucchio di pietre, perché le fate rimasero a ballare nel borgo oltre l'orario consentito per il rientro nella grotta.

Alcuni raccontano che, dopo essere state demonizzate per lunghi secoli dalle prediche di santi e di frati e costrette a rifugiarsi nelle viscere della montagna, le fate sibilline siano scomparse a causa di una sorta di “scomunica” inflitta loro da Alcina che volle punirle per aver incautamente mostrato le loro parti caprine.  Altri, invece, sostengono che le fate siano ancora adesso sui monti Sibillini e che manifestino la loro presenza attraverso fantasiose prove, come le “treccioline” che si formano sulle criniere degli animali mentre corrono liberi al pascolo sui monti, o le luci che compaiono occasionalmente dopo il tramonto a Colle di Montegallo, nella zona di Santa Maria in Pantano.

Non si sa se i Monti Sibillini siano ancora abitati dalle fate della Sibilla, ciò che è certo, però, è che questa località ha mantenuto la sua atmosfera incantata, diciamolo pure, dal fascino un pò fantasy e fa ancora parlare di sé per le “apparizioni magiche” che avvengono sul luogo.

Di recente, infatti, tra i boschi fiabeschi dei Monti Sibillini, non lontani dalla grotta, è stata avvistata una creatura con un solo corno. Scordatevi l’immagine del cavallo bianco dotato di poteri magici, perché quello che è stato visto sui prati della valle del Fiastrone, nelle Marche, una zona che purtroppo è stata devastata dal terremoto lo scorso anno, è un giovane capriolo. Ripreso da una videotrappola, cioè una telecamera nascosta nella vegetazione, rappresenta un esemplare rarissimo e non è detto che sia stato proprio il “palco”, il nome scientifico per i caprioli con un solo "corno", ad ispirare in passato il mito dell'unicorno.

capriolo unicorno

Come spiega l’etologo Enrico Alleva, il corno unico potrebbe essere dovuto ad una malformazione, un errore genetico. Ma la cosa non sembra svantaggiare il piccolo capriolo e, anzi, ha suscitato lo stupore dello stesso autore del video, Giuseppe Chiavari, che ha dichiarato: "In tanti anni che faccio fototrapping non avevo mai visto un esemplare del genere. Il capriolo era impegnato con altri suoi simili in scontri gioiosi e non era per niente in difficoltà per la sua menomazione".

Ma perché gli unicorni, o meglio, i racconti legati ad essi ci affascinano così tanto?

Forse perché nella tradizione medievale, all’alicorno, il corno di questo animale mitologico, veniva attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. Simbolo di purezza e castità, venne rappresentato anche su emblemi e stemmi. Ma era già molto diffuso nelle raffigurazioni di civiltà antichissime, come i Sumeri. Ancora oggi è presente nella letteratura e nel cinema: in Harry Potter e la Pietra Filosofale, ad esempio, il sangue di unicorno ha il potere di rendere immortali.

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