Boschi fitti, pietraie, laghi e torbiere e poi ancora mulattiere, alpeggi, vallate e panorami incantevoli, non di rado con vista mare. La quantità e la varietà dei parchi italiani è davvero unica. E se possiamo affermare che non basta una vita per conoscere i maggiori parchi italiani, lo stesso vale per le specialità culinarie da assaporare nei borghi che li costellano. Non c'è niente di meglio che concludere una piacevole escursione gustando le prelibatezze locali e, perché no, acquistandole nelle botteghe del posto che ne garantiscono l'artigianalità. Non a caso, è proprio un percorso che seduce le papille quello che abbiamo progettato in questo articolo. L'idea è di accompagnare il lettore alla scoperta delle tipicità che davvero meritano di tornare a casa con noi dopo una bella escursione o, meglio ancora, una vacanza.
Paradiso da assaporare
Partiamo da nord, dal Gran Paradiso, amatissima riserva di caccia dei Savoia che, ironia della sorte, salvarono lo stambecco dall'estinzione per sottrarre la fauna locale ai valligiani e riservarla alla propria passione venatoria. Le due specialità valdostane di cui parliamo sono due insaccati, la mocetta e il boudin. Il primo, detto anche “motzetta”, ha la consistenza della bresaola e un tempo si faceva proprio con lo stambecco insaporito con aglio, erbe aromatiche, sale e pepe. Oggi la preparazione ricorda quella di un tempo, ma la carne usata è di allevamento: di camosci, ovini o bovini. Il secondo, in origine, era un sanguinaccio molto nutriente: si preparava mescolando sangue di maiale (o cinghiale) con patate, barbabietole, lardo, cannella, noce moscata, bacche di ginepro ed erbe profumate e si consumava crudo o cotto. La ricetta si è tramandata e nel tempo si è modificata, anche per non violare le normative alimentari. Oggi è una salamella speziata di barbabietola, dal colore - naturalmente - fucsia.
Al centro del gusto
Prima di spingerci nel centro Italia, facciamo una passeggiata nel Parco delle Cinque Terre, tra i terrazzamenti che collegano i borghi di Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. Nel nostro cestino non potranno mancare le acciughe di Monterosso, semplicissime eppure così ricercate. Si producono nei mesi estivi: le acciughe vengono eviscerate e cosparse di sale e collocate a raggiera e a strati in barili di castagno o vasi di terracotta. Dopo la stagionatura vengono messe nelle classiche arbanelle in vetro ed eccole pronte. Il modo migliore per gustarle? Su crostini di pane caldo con un velo di burro, accompagnate dal bianco delle Cinque Terre oppure, come suggerisce qualche audace sommelier ligure, con lo sciacchetrà (o sciachetrà) che in genere è un vino da dessert. Si tratta di una chiccheria: è un passito di tradizione secolare prodotto da uve coltivate sui pendii, dove la terra è stata strappata a sassi e rocce.
Icone di sapori
Il Parco del Gran Sasso è il posto giusto per chi ama i formaggi. Nel tagliere ideale dovrebbero senz'altro esserci 3 o 4 prodotti, in un crescendo di sapore: la caciotta dolce dei Monti della Laga dei parchi nei dintorni di Accumuli e Amatrice, poi il pecorino di Farindola, un formaggio intenso che profuma di sottobosco, erba e fieno. La sua particolarità? È fatto con una ricetta antica che prevede l'uso del caglio di suino. Ottimo anche il marcetto, un cacio saporito con i vermi saltarelli, della zona di Castel del Monte. Per i formaggi non c'è accompagnamento migliore del miele e in quest’area la scelta cade sui monofloreali prodotti nel pascoli montani a partire da Santoreggia e Stregonia. Spostandoci a sud, infine, ecco il parco del Pollino, dove chiudiamo i nostri assaggi con il tipicissimo “biscotto a otto di Latronico”. No, non è un dolce. Si fa semplicemente con farina di antichi grani Carosella, acqua e sale: è uno “scaldatello”, ovvero si passa in acqua bollente e poi si cuoce in forno. La sua è una forma simbolica che richiama l'infinito e un tempo veniva tradizionalmente servito a fine pasto, inzuppato nel vino.