Alcuni borghi italiani celano misteri che a volte neppure gli abitanti stessi sono in grado di spiegare e attirano la curiosità dei turisti, amanti dell’ignoto e delle leggende. Tra questi borghi “misteriosi” c’è sicuramente Cerenzia, antichissimo borgo della Calabria in provincia di Crotone, fondata da popolazioni pre-romane. Acerenthia (questo il nome originale), infatti, fu fondata dagli Enotri o forse da Filottete, come sostiene lo storico greco Strabone. Contava all’incirca settemila abitanti, nove chiese e un vescovado, i cui resti della cattedrale sono tuttora presenti nel Parco Archeologico della Cerenzia Vecchia. L’antica città prende il nome dal fiume Lese, un affluente del Neto che nasce dal Monte Sordillo, più precisamente dal versante orientale dell’altopiano della Sila.
Il Parco Archeologico di Akerentia rappresenta una delle massime espressioni del paesaggio della Presila Crotonese, date le condizioni di eccellente conservazione e l’assenza totale di elementi invasivi. La rupe, costituita da rocce gessoso-solfifere, presenta movimenti franosi che allo stato sono oggetto di diverse proposte di tutela, nonché sottoposte a vincolo. Quasi nella sua totalità, la rupe è stata acquisita, al patrimonio comunale di Cerenzia con destinazione “Parco Archeologico”.
A dimostrazione dell’attaccamento dei cerentinesi con la loro antica città ci sono numerose opere, poetiche o canore, che autori del luogo hanno scritto e continuano a scrivere. Citiamo Acherunthia, di Salvatore Lista, maestro di molte generazioni di cerentinesi, sindaco del paese negli anni Sessanta e riferimento culturale per la comunità cerentinese, nonché autore di vari scritti. Il secondo, Ruderi, del poeta Teodoro Torchia, maestro, cantore e cultore della storia di queste popolazioni che, pur essendo nato e vivendo a Castelsilano, si definisce con orgoglio «cerentinese purosangue» per le sue origini. Entrambi gli autori, nati negli anni Venti, rappresentano la memoria storica di Cerenzia.
Facendo un salto storico notevole, la fama Cerenzia è legata a una leggenda del XVI secolo che ancora oggi contraddistingue la tradizione secolare della gente autoctona. Era l’anno 1528 e gli abitanti di Cerenzia, erano in fila alla fontana del paese per prendere la propria razione quotidiana d’acqua. Quel giorno, però, non fu come gli altri. All’improvviso, infatti, la gente si trovò di fronte un drago a sette teste che sputava fuoco. I cerenzioti in fuga si rivolsero al vescovo che disse: «Quello è il redivivo drago dalle sette teste che, attorno al mille, divorò un cristiano al giorno per un intero anno. Un uomo qualsiasi non potrà mai sconfiggerlo. L’unico che può riuscirci è San Teodoro d’Amasea, capace di uccidere la bestia più grande e feroce di questo mondo con un sol colpo di spada».
La statua dedicata a San Teodoro di Amasea
Una delegazione di abitanti chiese immediatamente soccorso a San Teodoro, il quale accettò di difendere a spada tratta la popolazione impaurita di Cerenzia. Il 9 novembre del 1528, i cerenzioti, guidati dal santo condottiero, andarono a svegliare il drago nella grotta, portandolo fuori. San Teodoro lo infilzò a un occhio e lo uccise. Pieni di gratitudine, cerenzioti elessero San Teodoro protettore del paese e, da allora, ogni 9 novembre, viene celebrata la ricorrenza della sua impresa. Nella chiesa dedicata prima a San Leone e poi a San Teodoro di Amasea è custodito un quadro in cui il soldato martire viene rappresentato con le sette lingue del drago sulla sua testa.
Quella che vi abbiamo raccontato è una leggenda che tutti i cerentinesi, anche i più giovani, conoscono, e che costituisce ancora oggi un’eredità e un legame con la vecchia città. Il culto di San Teodoro fu importato molto probabilmente dall’Oriente (Amasea è una città dell’Asia Minore) intorno al VII-VIII secolo, ad opera dei numerosi monaci basiliani, che in quell’epoca si erano insediati anche nel territorio di Cerenzia. Se vi recate in questo splendido borgo calabrese, respirerete un’atmosfera magica, intrisa di mistero e anche di devozione verso un santo, San Teodoro di Amasea, che da queste parti è considerato un idolo incontrastato.